Era il 2012 quando particolare notizia fece una campagna di Greenpeace contro Enel, tutta incentrata sul tema del carbone: la sua produzione, l’impatto climatico, i relativi effetti sull’ambiente. Ad oggi di questa campagna si ricorda poco anche perché il sito che vi era dedicato, facciamolucesuenel.org non è raggiungibile, lasciando a noi – dopo un attento studio degli archivi online disponibili – il compito di raccontare brevemente cosa successe.
Sommario:
I due contendenti
Due mondi fortemente distanti quali sono quelli di Greenpeace e quello di Enel hanno spesso trovato dei disaccordi su temi ambientali, sfociati – soprattutto negli ultimi anni – in guerre a carte bollate tra i due colossi. Non può quindi stupire che in un decennio così delicato, nel quale i cambiamenti climatici sono tra i temi più dibattuti a livello mondiale, i due contendenti si siano trovati avversari in diverse circostanze attinenti. Prima di approfondire la vicenda relativa a Facciamo Luce su Enel cerchiamo, con un breve incipit, di spiegare chi sono i due soggetti interessati.
Greenpace: l’ambiente al primo posto
Greenpeace è una delle aziende non governative ambientaliste più conosciute al mondo. Fondata nel 1971 negli Stati Uniti, a Vancouver, conta attualmente più di 41 sedi in tutto il mondo mantenendo tuttavia il suo baricentro principale ad Amsterdam. Si tratta di uno degli enti più combattivi sui fronti ambientali; per portare avanti le proprie battaglie e raggiungere i propri scopi ha ricevuto, negli anni, sovvenzioni da donatori e fondazioni no profit di tutto il mondo rifiutando, però, quelle provenienti da aziende private, grandi investitori e governi. Questo per mantenere un profilo di indipendenza totale che ne ha permesso il follow-up a numerose sfide per la salvaguardia del pianeta. Tra queste, alcune particolarmente note al giorno d’oggi sono:
- la lotta al riscaldamento globale e contro il climate change;
- la lotta contro la pesca a strascico;
- l’alta attenzione nei confronti dello sviluppo dell’ingegneria genetica.
Enel, il colosso dell’energia italiana
Su di Enel abbiamo parlato molto spesso, tra le righe di questo blog. Si tratta di uno dei più importanti player di energia elettrica nel mercato italiano, un’azienda il cui nome viene spesso automaticamente associato alla figura della bolletta e a tutto ciò che ne consegue. Allo stato attuale è il primo produttore di energia elettrica in Italia; istituita nel 1962 con il nome di Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (di qui l’acronimo) è uno dei più importanti attori nella filiera italica.
Con la liberalizzazione – e la conseguente perdita del monopolio – si stima che comunque la sua quota nel mercato rimarrà particolarmente alta, grazie a un processo che vede sommarsi una tecnologizzazione dei processi (e dei rapporti con l’utente), la cospicua presenza nel mercato della distribuzione (leggi per saperne di più su e-Distribuzione) e le strategie internazionali con altri giganti, come Endesa.
Con la liberalizzazione – e la conseguente perdita del monopolio – si stima che comunque la sua quota nel mercato rimarrà particolarmente alta, grazie a un processo che vede sommarsi una tecnologizzazione dei processi (e dei rapporti con l’utente), la cospicua presenza nel mercato della distribuzione (leggi per saperne di più su e-Distribuzione) e le strategie internazionali con altri giganti, come Endesa.
La campagna e la sua eco mediatica
«Se stai leggendo questa sezione è perché in Italia c’è chi ha un grande impatto sul clima, con le sue emissioni, ma rifiuta di prendersi carico delle proprie responsabilità. Questo qualcuno è l’ENEL, che invece di investire per far decollare le fonti rinnovabili preferisce usare ancora il carbone, la fonte energetica più nociva per il clima e la salute umana».
Recitava così l’incipit della pagina di Greenpeace in cui si parlava di Facciamo Luce su Enel, la campagna anti-carbone promossa dalla nota ONG sulla base dei propri studi. Dal proprio sito web, Greenpeace lanciava un potentissimo j’accuse:
«Il 72 per cento dell’elettricità prodotta in Italia con il carbone è fatta da ENEL; che con questo combustibile fossile produce il 41 per cento del prodotto nazionale. Greenpeace denuncia da anni questo stato delle cose, ancor più grave se si tiene conto che ENEL ha ancora oggi una forte partecipazione statale, che dovrebbe renderla partecipe dello sforzo di lotta al riscaldamento globale e di modernizzazione del settore energetico. A partire dal 2006, Greenpeace ha contrastato la scelta a favore del carbone dell’azienda elettrica, con azioni e campagne culminate – nel 2012 – nella campagna “Facciamo Luce Su ENEL”».
La campagna, basata su delle tesi sostanzialmente molto forti, ricevette un ulteriore boost da un cortometraggio (con regia di Mimmo Calopresti e che fu presentato al Festival del Cinema di Roma) dal nome inequivocabile: Uno al giorno. Tale nome faceva riferimento agli effetti che l’organizzazione dimostrava procurasse la produzione di carbone a livello ambientale, con una conseguente morte quotidiana e danni di quasi 2 miliardi di euro annui. A tale corto si aggiunsero numerose manifestazioni pacifiche che l’azienda organizzò presso numerosi impianti di produzione del gigante dell’energia: una delle più note fu quella – di qualche anno prima, 2006 – tenuta presso Porto Tolle e che diede inizio a un lungo iter giudiziario conclusosi nel 2014.
Greenpeace ed Enel a giudizio
Uno al giorno ottenne un prevedibile e discreto scalpore. Una conseguenza tangibile fu quella di portare, nuovamente, in tribunale Greenpeace ed Enel: il colosso dell’energia sporse denuncia contro ignoti portando la ONG davanti a un giudice. Ma alla fine tutta la base della campagna di Greenpeace fu costituita sul rinvio a giudizio di Enel. Tra le proprie tesi accusatorie Greenpeace – incalzando Enel – ricordava:
- Emissioni di CO2: Greenpeace accusava Enel di esserne il primo emissore in Italia nonché il quarto in Europa, notando una scia in controtendenza nei confronti dell’andamento generale;
- Danni ambientali da carbone, provocanti morti per il famoso numero di Uno al giorno;
- Danni economici annui pari a quasi 1,8 miliardi di euro per l’Italia e 4,3 per l’Europa intera;
- Ulteriore sviluppo di piani da carbone, quali erano quelli, all’epoca, di Porto Tolle e Rossano Calabro.
Il quadro fu durissimo e i toni utilizzati da Greenpeace durante la propria campagna decisamente forti. Questo portò a uno scontro di alta entità nel corso del quale la ONG richiese, quali provvedimenti da tenere:
- taglio del 50% del consumo di carbone della produzione elettrica da carbone entro il 2020 fino a raggiungerne l’eliminazione totale nel 2030 e con una concomitante sostituzione con fonti rinnovabili;
- ritiro immediato dei progetti di Porto Tolle e Rossano Calabro e riconversione degli stessi.
Dal suo punto di vista, Enel cominciò a denunciare le campagne di comunicazione di Greenpeace in quanto ritenute diffamatorie, chiedendo l’oscuramento del sito inerente Facciamo Luce su Enel e dei materiali informativi della campagna. Quest’ultima parte fu tuttavia vinta da Greenpeace, cui i giudici milanesi diedero ragione portando a sostegno l’articolo 21 della Costituzione sul primato della libertà di manifestazione del pensiero.
Carte bollate e conclusioni
Sebbene il diritto di critica fu ritenuto inviolabile è chiaro che i problemi tra aziende di questo tipo rischiano di reiterarsi e, campagne come quella di Greenpeace, hanno da questo punto di vista fatto scuola.
Negli anni tuttavia, dei momenti di avvicinamento ci sono stati: nel 2015 – tre anni dopo Facciamo Luce su Enel – il colosso dell’energia ritirò formalmente il progetto di costruzione della centrale di Porto Tolle e fu lo stesso Amministratore Delegato, Francesco Starace, a spiegare il cambiamento di rotta del business Enel a un seminario di Greenpeace ad Amsterdam. Fu infatti ritenuto importante puntare su un nuovo mix con impianti rinnovabili, con una mossa che fu ritenuta soddisfacente dal Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia.
Negli anni tuttavia, dei momenti di avvicinamento ci sono stati: nel 2015 – tre anni dopo Facciamo Luce su Enel – il colosso dell’energia ritirò formalmente il progetto di costruzione della centrale di Porto Tolle e fu lo stesso Amministratore Delegato, Francesco Starace, a spiegare il cambiamento di rotta del business Enel a un seminario di Greenpeace ad Amsterdam. Fu infatti ritenuto importante puntare su un nuovo mix con impianti rinnovabili, con una mossa che fu ritenuta soddisfacente dal Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia.
P.S. Al di là di come la si possa pensare, questo è chiaramente un pezzo che non prende le parti di nessuno degli attori in causa, provando bensì a fornire un riepilogo di quel tipo di campagna e di come siano stati utilizzati i nuovi media – nello specifico, i video online – per poter combattere per un obiettivo in ambito energetico.
Per conoscere di più, sul sito di Greenpeace è ancora attiva una parte relativa questa campagna. Si può trovare qui: http://www.greenpeace.org/italy/it/campagne/Salviamo-il-clima/Enel–carbone-un-legame-pericoloso/
Per conoscere di più, sul sito di Greenpeace è ancora attiva una parte relativa questa campagna. Si può trovare qui: http://www.greenpeace.org/italy/it/campagne/Salviamo-il-clima/Enel–carbone-un-legame-pericoloso/