Per chi si riconosce in una nuova visione del mondo: guardandolo da se stessi. Per chi vuole abitare e non distruggere la propria casa... "Ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto". If you recognize yourself in a new vision of the world, looking at it from themselves. For those who want to live and not destroy your home ... "Remember your humanity and forget the rest."
lunedì 28 settembre 2009
Il nostro esempio
Quello che vorremmo per i nostri figli è ovviamente la felicità.
Ma vorremmo anche che loro fossero migliori di noi o perlomeno non peggiori.
Il modo ideale per fare in modo che la loro personalità ( e non loro) sia almeno accettabile è il nostro esempio di tutti igiorni.
Loro ci guardano : a cosa attribuiamo veramente valore ?
Ai soldi? Al benessere sociale ? Alla cariera ? Ai beni materiali? Allo sviluppo spirituale? Alle cose concrete di tutti i giorni? ...
Di cosa parliamo tutti i giorni in casa o fuori casa con loro?
Quale tipo di educazione viene trasmessa dalla scuola e da altri enti a contatto con loro?
sabato 26 settembre 2009
Il punto di non ritorno...?
Credo sia doveroso da parte di tutti noi sapere quello che spiega questo Signore durante la sua intervista.
Praticamente ad oggi il pianeta Terra ( inbase a calcoli matematici ben precisi) ha già esaurito le risorse disponibili per il 2009.
Quindi nei prossimi 3 mesi il pianetà andrà a debito...
Solo che la situazione non è come il debito pubblico, cioè non parliamo di denaro che si può stampare ma di risorse naturali non creabili...
Potete poi meditarci su e tirare le vostre conclusioni riguardo a ciò che tutti noi stiamo lasciando in eredità ai nostri figli!
Grazie della vostra attenzione...
Praticamente ad oggi il pianeta Terra ( inbase a calcoli matematici ben precisi) ha già esaurito le risorse disponibili per il 2009.
Quindi nei prossimi 3 mesi il pianetà andrà a debito...
Solo che la situazione non è come il debito pubblico, cioè non parliamo di denaro che si può stampare ma di risorse naturali non creabili...
Potete poi meditarci su e tirare le vostre conclusioni riguardo a ciò che tutti noi stiamo lasciando in eredità ai nostri figli!
Grazie della vostra attenzione...
venerdì 25 settembre 2009
Tempo e spazio
Lancette che spezzano l'anima
bagliori che durano troppo poco
lacrime infinite alla fine s'asciugano
e dov'ero non rimane nulla.
Ora arrivo al grande albero
rideremo insieme infinita gioia
il vento ci trapasserà
poi voleremo via
come in un sogno.
Vorrrei abbandonarmi al flusso dell'esistenza ma qualche invisibile catena mi lega a terra!
martedì 22 settembre 2009
Spiritualità ed esperienze di pre morte
Circa 20 anni fa lessi tre o quattro libri a proposito delle esperienze di pre-morte.
Dalle testimonianze agli studi scientifici ed alla particolarità di questi eventi , credo che la cosa più sconvolgente sia quella che comunque chi prova questo tipo di esperienze CAMBIA soprattutto il suo modo di affrontare la VITA oltre che la morte.
Pubblico un interessante articolo preso da www.innernet.it
Feb 2009 di James Austin | Permalink |
La maggior parte degli individui che vive un’esperienza di quasi morte ha ancora la sensazione di stare trattenendo almeno qualcosa del proprio essenziale io personale. Questo io personale è di solito il principale osservatore esterno della scena. Uno studio delle dinamiche e della neurofisiologia delle esperienze prossime alla morte.
Esperienze di “quasi morte” e atteggiamenti di “morte lontana”
Tutte le scelte sono influenzate dal modo in cui la personalità considera il suo destino, e il corpo la sua morte. In ultima analisi, è il nostro concetto di morte che decide o risponde a tutte le domande che la vita ci mette davanti… Da qui deriva anche la necessità di prepararci a essa.
Dag Hammarskjold
Il nostro concetto di morte influenza il modo in cui viviamo? Se Hammarskjold avesse ragione, sarebbe meglio che ognuno di noi elaborasse una sua valida idea sulla morte, preparandosi a essa senza indugiare sui suoi aspetti morbosi. Più facile a dirsi che a farsi.
Un secolo fa, Albert Heim ha riassunto nel seguente modo i racconti di trenta persone che improvvisamente si sono trovate davanti alla morte. La loro ordalia venne provocata da lunghe cadute dalle cime alpine. Dopo essersi trovati a un passo dalla morte, questi superstiti hanno raccontato di aver provato, in quel momento, “un senso di grave tranquillità, un’accettazione profonda e uno stato prevalente di acutezza mentale e di senso di sicurezza. L’attività mentale divenne enorme, cento più volte più veloce o intensa. Le relazioni tra gli eventi e le loro probabili conseguenze venivano viste con grande chiarezza.
Il tempo si espanse grandemente. L’individuo non era confuso, ma agiva con la velocità di un fulmine e dopo un’accurata valutazione della situazione. In molti casi, le persone rividero in un lampo tutto il proprio passato. Alla fine, al momento della caduta, si udì spesso una musica bellissima e si ebbe la sensazione di precipitare in un magnifico paradiso blu, con nuvolette rosate (nota 1)”.
Heim era un alpinista e un professore di geologia, oltre che uno dei primi teorici delle esperienze “di vetta”. Ma Charles Darwin aveva vissuto, ancora prima, un rapido flusso mentale durante una breve caduta, da bambino. Perciò, potremmo definire tali eventi minori – un flusso impetuoso di pensieri verso l’estremità darwiniana dello spettro – come esperienze di “quasi-vita”. Esse sono molto più semplici delle altre sequenze di fenomeni che Heim avrebbe descritto dettagliatamente.
Dunque, Heim, nonostante la sua caduta fosse stata molto più lunga e pericolosa, disse di “non aver sperimentato alcuna traccia di ansia o dolore”. Anzi, accettò “senza paura l’ineluttabilità della morte. Tutto era andato così, e sembrava giustissimo. Avevo la sensazione di essermi sottomesso alla necessità (nota 1)”.
In quei primi secondi, come Darwin, anche Heim sperimentò un flusso impetuoso di pensieri e immagini usciti casualmente dalla memoria. Ma presto, nel corso della sua più lunga e temibile caduta, si verificarono altri eventi mentali.
Questi ultimi sono stati da allora chiamati “esperienze di quasi morte”. La minaccia è reale; la morte, imminente. L’ordalia è sconvolgente, se non spaventosa. Le nuove difficoltà fisiologiche spingono in primo piano dimensioni extra psicologiche. Per esempio: il tempo esteriore rallenta; quello interiore va a tutta velocità; gli eventi sembrano accadere al rallentatore. Questo tipo di deformazione temporale ritorna anche nella maggior parte dei racconti dei 104 superstiti studiati da Noyes e Kletti (nota 2). Quasi la metà di questi soggetti si staccò dal corpo, e più di un terzo sperimentò anche una sequenza-lampo di vecchi ricordi.
Talvolta, per descrivere il flusso di questi spezzoni vividi e isolati di memoria, si usa liberamente il termine “panoramico”. Ma in realtà i racconti parlano di una grande varietà di istantanee uscite da tutto il passato dell’individuo. Quindi, il termine “panoramico” fa riferimento a eventi isolati, in porzioni di tempo, senza continuità narrativa. Non vuol dire che l’individuo gode di un panorama a trecentosessanta gradi di tutto ciò che lo circonda, allo stesso momento, come può succedere in una visione di grande assorbimento (nota 4). In realtà, per usare le parole di Heim, “Ho visto tutta la mia vita attraverso molte immagini, come su un palcoscenico a una certa distanza da me”.
Solo a questo punto, dopo essere passati attraverso queste istantanee iniziali di avvenimenti del passato, alcuni soggetti entrano nella fase successiva. Si tratta davvero di “un altro mondo”, dalle caratteristiche difficili da descrivere. Per circa un terzo dei soggetti, l’esperienza adesso sembra produrre un grande senso di armonia, unità o intelligenza, dando la sensazione di essere al di là del tempo, in una condizione immutabile.
È risaputo che simili stati “oltremondani” accadono anche sul lungo cammino spirituale verso l’illuminazione. Quindi, dobbiamo chiederci: cos’altro c’è di diverso nei soggetti che hanno “estensioni mistiche” in quest’ultima fase dell’esperienza di quasi morte? Con poche eccezioni, sono le stesse persone di cui in seguito si è pensato che, in quel momento, abbiano avuto qualche disturbo nel funzionamento del cervello. Cioè, esse stavano annegando, prive di ossigeno, in uno shock vasomotorio con scarsa pressione sanguigna, o in qualcosa di altrettanto grave. Per contrasto, le componenti mistiche tendevano a non comparire se la caduta era priva di complicazioni. Né questa fase “mistica” accadeva durante eventi traumatici se la persona non aveva riportato gravi ferite alla testa, al torace o in altre parti del corpo.
Quando la sopravvivenza è in gioco, emergono potenti forze interiori. Nonostante ciò, molti soggetti si sentono impotenti di fronte alle circostanze inesorabili. A questo punto, essi potrebbero sperimentare quello che il professor Heim ha splendidamente descritto come il sentirsi “sottomessi alla necessità”. Ma si osservi: a questo punto si tratta perlopiù di una rinuncia passiva al controllo. Non siamo di fronte a una ben ponderata rinuncia all’io.
È un processo che, poiché accade senza l’intervento dell’io volitivo, provoca di base una dissoluzione spontanea del vecchio, egocentrico io. E sarà a questo punto della resa – dell’incondizionata e assoluta resa – che tutte le paure transitorie si placheranno da sole. Ora, sparito il sé dal campo di battaglia, la morte viene accettata con assoluta calma (nota 1). Segue una profonda tranquillità.
Durante la loro ordalia di quasi morte, i soggetti non sono turbati dalla perdita dell’io o da altri sintomi di spersonalizzazione. Piuttosto, in seguito ricorderanno con gratitudine la calma sperimentata. Di più: in alcuni casi, questa mancanza di emotività davanti al pericolo diventerà una costante nella vita. Dopo, questi sopravvissuti ricordano l’episodio senza coinvolgimento.
Lo studio di G. Gallop Jr. sulle esperienze di quasi morte includeva interviste con circa 1500 adulti (nota 6). In questa rassegna di persone che avevano incontrato per davvero la morte, quante entrarono in un’altra dimensione della consapevolezza? Solo una minoranza, circa il 35%. Inoltre, la maggior parte delle caratteristiche individuali di ciascuna esperienza non era specifica. Ovvero: altri soggetti avevano avuto reazioni simili in molte altre situazioni della vita. Anche la maggior parte di queste circostanze ordinarie aveva messo a repentaglio la vita di quei soggetti? No. Quindi, trovarsi davvero vicini alla morte non è il fattore critico.
Ebbene, i ritiri di meditazione sono tra le molte altre situazioni che provocano stati alterati di consapevolezza. Alcuni ritiri di meditazione possono essere molto duri, ma non pongono alcuna minaccia reale alla vita. D’altra parte, quando i meditatori raggiungono il loro livello più profondo e fondamentale di calma e chiarezza mentale, eventi relativamente nascosti (o più evidenti) possono rappresentare uno stimolo momentaneo. Data questa introduzione, quale gruppo di caratteristiche emerse dallo studio di Gallup?
1) La percezione di essere fuori dal corpo. Questa è la sensazione che si ha quando la propria consapevolezza osservatrice è separata dal corpo fisico. Il nove per cento degli adulti riferisce di aver sperimentato questo stato durante la propria esperienza di quasi morte.
2) Un’acuta percezione visiva, sia dell’ambiente circostante che degli eventi che vi avvenivano (8%).
3) Suoni provenienti da persone in carne e ossa nei dintorni, o da un’altra fonte (6%).
4) Una pace straripante e la scomparsa del dolore (11%).
5) Una luce brillante e accecante (5%).
6) Una veloce rassegna o riesame della propria vita (11%).
7) La netta sensazione di trovarsi in un mondo completamente diverso (11%).
8 ) La sensazione che sia presente una persona speciale (8%).
9) La percezione di una specie di tunnel (3%).
Consideriamo le prime due caratteristiche dell’elenco. Le esperienze “fuori dal corpo” possono durare forse mezzo minuto (alcune sembrano durare fino a mezz’ora). La maggior parte delle volte accadono in momenti di coercizione emotiva e in circostanze altre da un’esperienza di quasi morte( nota 7). Per esempio, alcune persone, mentre meditano o dormono, hanno la sensazione che il centro della loro consapevolezza si sia spostato, situandosi fuori dai confini del corpo fisico (nota 8). In questi momenti, i soggetti hanno la sensazione di stare fluttuando verso l’alto, in modo che, guardando verso il basso, vedono il proprio corpo. L’esperienza sembra autentica, non un sogno (nota 9).
La maggior parte degli individui che vive un’esperienza di quasi morte ha ancora la sensazione di stare trattenendo almeno qualcosa del proprio essenziale io personale (nota 10). Questo io personale è di solito il principale osservatore esterno della scena. Esso osserva “l’altro” io, quello fisico, che sembra staccato e lontano. Talvolta, anche l’essenziale io personale viene proiettato sulla scena. In tal caso, esso viene guardato da un altro, doppio io personale. Il fenomeno per cui una persona vede se stessa (una sorta di diplopia mentale) viene chiamato autoscopia. È degno di nota il fatto che l’autoscopia può avere luogo anche in quei pazienti epilettici la cui crisi comincia nel lobo temporale del cervello (nota 11).
Ma in alcuni soggetti la dissoluzione dell’identità personale si spinge ancora più in là. E dopo di essa, accadono molti altri fenomeni negli stadi successivi dell’esperienza di quasi morte. Per esempio, nell’istante successivo si può avere una sensazione di espansione. In tal modo, si verifica una fusione con qualcosa di paragonabile a una “immanenza, senza tempo né spazio, dell’essere universale in un centro particolare”. In alcuni soggetti, la sensazione di fusione con un essere universale assume allora “una qualità e uno splendore” più elevati, per quanto alcuni soggetti parlino di un fallimento nel raggiungere “tutta la vastità e il potere di Dio” (note 12, 13).
È possibile trovare significati sia psicologici che fisici nella vecchia frase “vedere la luce”. Secondo studi recenti, le persone che riferiscono di aver visto una luce di brillantezza intensa sono anche coloro che con più probabilità si sono avvicinate maggiormente alla morte vera (nota 14). E la personalità di chi ha vissuto l’esperienza della luce brillante tende successivamente a essere quella più trasformata (nota 15).
Fortunatamente, Heim è sopravvissuto alla sua caduta alpina di 2000 metri, potendo così descriverci gli eventi accaduti durante essa. Ma resta una perplessità. Molti sono sfiorati dalla morte, tuttavia pochi sperimentano lo spettro completo delle principali caratteristiche dell’esperienza. Di fatto, secondo le stime più recenti, solo circa il 22% di coloro che hanno sperimentato l’ordalia di una “chiamata molto vicina”, e non il 35%, vive l’esperienza di quasi morte (nota 16). Perché così poche persone sperimentano uno stato alterato? Una spiegazione plausibile è che eventi bruschi e sconvolgenti, di qualsiasi tipo, provocano tali stati solo se accadono in un momento particolare del ciclo biologico di una certa persona, e in un determinato contesto (nota 4).
Trasformazioni successive
Un fatto importante è chiaro: alcune esperienze di quasi morte in seguito trasformano la vita del sopravvissuto. Quest’ultimo può letteralmente sentirsi “rinato”, e cominciare una genuina ricerca spirituale (nota 17). Da questo punto di vista, l’ultima fase di un’esperienza eccezionale diventa un risveglio profondo. È un’illuminazione che può ricordare un’esperienza mistica altrimenti convenzionale, ovvero senza il preludio di un chiaro pericolo (nota 10). Circa il 64% di un gruppo di 215 soggetti vicini alla morte ha completamente mutato atteggiamento sulla vita e la morte (nota 18). In che modo? Beneficiando delle seguenti caratteristiche: 1) una ridotta paura della morte; 2) una sensazione di relativa invulnerabilità; 3) la sensazione di avere un’importanza o un destino speciali; 4) la convinzione di essere stati prescelti dal fato o da Dio, e 5) una maggiore fiducia nella propria esistenza.
Un contatto ravvicinato con la morte innalza la consapevolezza generale. Da allora in poi, la persona tende a sviluppare molti atteggiamenti supplementari. Essi includono: 1) la consapevolezza della preziosità della vita; 2) una sensazione di urgenza e una nuova scala delle priorità; 3) una maggiore consapevolezza del momento presente; 4) una maggiore accettazione degli eventi naturali a vasta scala sui quali, in realtà, non si ha alcun potere.
Esperienze del letto di morte
Oggigiorno, il pubblico conosce molto bene le esperienze di quasi morte (“NDE”, in inglese). Data la grande pubblicità, bisogna osservare un fatto. Molte persone non sono mai state vicine alla morte “vera” come forse una volta sono state portate a credere (nota 14).
Ma ora conosciamo un immutabile insieme di circostanze sulla fine autentica del ciclo della vita. Gli eventi culminano nell’esperienza del letto di morte. La maggior parte di questi pazienti terminali – i malati di cancro, per esempio – hanno a disposizione ore, se non mesi, per riflettere sull’irrimediabilità della propria condizione. Ancora una volta, un primo risultato è un innalzamento prolungato della consapevolezza e delle altre funzioni mentali. Questo è stato ben descritto da Samuel Johnson, secondo il quale, quando mancano una quindicina di giorni all’impiccagione, la mente diventa meravigliosamente concentrata. Nella nostra epoca, Levine osserva come “molte persone affermano di non essere mai state tanto vive come quando stanno morendo”(nota 19).
Il paziente quasi terminale la cui consapevolezza sia più vivida può sviluppare molti fenomeni psichici. Almeno alcuni di essi si rivelano quando lo stato mentale del paziente è per il resto normale, e quando gli effetti di droghe, di una scarsa pressione sanguigna, di squilibri dei fluidi e dell’elettrolito possono essere esclusi. A ogni modo, l’insonnia dovuta alla preoccupazione può ovviamente essere una causa concomitante. Alcune di queste superficiali “accelerazioni” non sono compresse in pochi secondi, come accade nel tumulto della breve esperienza di quasi morte.
Piuttosto, accadono in forma più subacuta. E ora, in momenti di grande intensità, il complesso delle funzioni sensoriali di un individuo diventa ricettacolo di apparizioni o visioni di stati paradisiaci. Inoltre, anche durante il sonno, i sogni del paziente diventano ricchi di simbolismi. Un esempio è dato dalla descrizione di Carl Jung dei sogni e allucinazioni che ebbe in ospedale, dopo il suo attacco di cuore (nota 20).
Molti sopravvissuti alla breve e acuta esperienza di quasi morte sono stati profondamente influenzati dal dramma attraversato. Allo stesso modo, sono rimasti impressionati i testimoni rimasti a vegliare accanto al letto di morte dell’amico o del parente. È comprensibile il fatto che questi due tipi di esperienze intime – quelle di prima mano e quelle di seconda mano – hanno suscitato tante interpretazioni esagerate da parte di un pubblico impressionabile, nei secoli passati. Oggi – per quello che vale – sono relativamente pochi gli scienziati che accettano che la vita continui “in un altro mondo oltre la tomba”. Ancora meno sono quelli secondo cui le esperienze di quasi morte costituiscono “un bagliore veritiero del futuro”. Ma gli scienziati sono scettici per natura: appena il 16% crede in qualche tipo di vita dopo la morte, in contrasto al 67% del resto della popolazione (nota 16).
Tuttavia, se si trovano di fronte a quella che sembra la morte vera, anche i neuroscienziati osservano che il loro atteggiamento può mutare. Quando il neurologo Ernst Rodin venne anestetizzato, sperimentò non soltanto la sensazione, ma la vera e propria certezza assoluta della propria morte. Solo in seguito, quando uscì dall’anestesia, fu in grado di riconoscere che tale certezza era un’illusione21. È possibile che alcune nostre certezze siano radicate nell’illusione? Questa è una lezione impressionante per tutti. E nessuna esperienza personale è in grado di distruggere lo specchio delle nostre illusioni tanto quanto la morte di tutti i vecchi costrutti dell’io.
“Atteggiamenti di morte lontana” e loro paralleli
La realtà è che quando tutte le vecchie finzioni dell’io si dissolvono, la morte perde il suo mordente terrificante. Alcune persone cominciano precocemente questo processo educativo; altre lo rinviano alla fine della vita. Questo secolo ha visto molte persone sane e normali – sia giovani che anziane – intraprendere il lungo cammino della meditazione. Col tempo, una serie di episodi comincia a diminuire la loro precedente paura della morte. Queste persone cominciano a comprendere di essere impermanenti e transitorie come le foglie di un albero.
Invecchiando, e forse diventando più sagge, acquisiscono un’altra prospettiva. In un certo senso, quest’ultima potrebbe essere definita un “atteggiamento di morte lontana”. Questo vuol dire che i meditatori più esperti stanno cercando di negare la morte? O che stanno semplicemente spingendo ancora più in là i loro vecchi concetti sulla morte? No. Come Hammarskjold, la stanno affrontando, accettando la sua ineluttabilità e interiorizzando la sua realtà con più calma.
I test di laboratorio confermano questo cambiamento di mentalità. L’idea della morte è molto meno disturbante per quei giovani che hanno già imparato ad aprirsi a stati alterati di consapevolezza. Difatti, parole attinenti alla morte provocavano solo una leggera reazione fisiologica (nel battito cardiaco e nella conduttanza delle pelle) nei meditatori buddisti seguaci delle tradizioni zen o tibetane. I meditatori avevano bassi punteggi anche sulla scala dell’ansia della morte8. Intervistati su quest’ultima, le loro risposte suggerivano che avevano già fatto a meno della nozione di un io personale. A quel punto, la morte non era più né un’ansia attuale né qualcosa di cui bisognava preoccuparsi nel lontano futuro.
In che modo queste persone avevano sviluppato un atteggiamento così coraggioso, “di morte lontana”? Esso rifletteva sia la loro educazione precedente finalizzata alla “morte dell’ego”, sia la concreta esperienza del fatto che l’io egocentrico era solo un’illusione. In più, avendo imparato a focalizzarsi sul momento presente, questi praticanti erano in grado di cominciare a interiorizzare e accettare tutto ciò che poteva avvenire in questo momento, affrontandolo e passando all’istante successivo. E poi, a quello dopo ancora…
Verso una morte migliore?
I soggetti che seguono pratiche meditative lentamente imparano a vivere giorno dopo giorno a livelli più essenziali di consapevolezza. Ma supponiamo di essere arrivati all’ultimo atto della nostra vita: ora, alla fine della vita biologica, può essere ancora utile lo stesso atteggiamento basilare di attenta introspezione? Una persona può imparare a morire in modo migliore? E se sì, in che modo?
A questo proposito, alcuni pazienti ci raccontano che la malattia terminale è la loro ultima, grande maestra. Adesso devono superare il corso finale, richiesto a tutti. Per alcuni, esso diventa una sorta di “corso accelerato” all’ultimo minuto, il più rigoroso di tutti i ritiri religiosi. Uno slancio naturale distrugge tutte le finzioni, riducendo la vita ai suoi componenti essenziali. Per questi pazienti, la morte diventa l’ultima opportunità per lasciare cadere le vecchie convinzioni profonde e artificiali. Alla fine, possono accettare tutto ciò che arriva, vivendo intensamente ogni istante.
Grazie alla chiarezza derivante da questa nuova profondità, molti pazienti alla fine cominciano a capire la vita. Alcuni scoprono che la sofferenza passata e il disagio attuale hanno radici nelle terrificanti invenzioni dei loro vecchi costrutti egoici. Per certe persone, la possibilità di usufruire di queste nuove, profonde intuizioni, sembra facilitare gli ultimi istanti, aiutandole a morire “di morte migliore”. Inoltre, le intuizioni più profonde possono portare alcuni pazienti così avanti sul cammino spirituale da far loro sperimentare lo stato di apertura totale dell’Essere Assoluto che sembra risiedere al di là (nota 4).
Il racconto della morte di Yaeko Iwasaki, vero e commovente, è un raro esempio di questa evoluzione. Questa seguace del buddismo zen, all’età di venticinque anni, seppe di avere solo cinque giorni prima di soccombere alle complicazioni di una malattia alle valvole del cuore. Ma la sua totale concentrazione durante questi ultimi giorni in cui fu costretta a letto le permise di accedere a una serie di stati sempre più profondi, fino a raggiungere l’illuminazione autentica (nota 22).
Ogni giorno, ad altri capezzali – nelle case, gli ospizi e gli ospedali – un numero crescente di professionisti della salute assiste da vicino i pazienti morenti. Questi preparati direttori spirituali guidano i malati terminali, preparandoli non solo alle difficoltà, ma anche alle scoperte che potrebbero fare nella loro ultima esperienza di apprendimento. Per questi insegnanti, esiste un ovvio parallelo con i profondi cambiamenti che vedono accadere nei loro malati terminali. Cosa vedono? I pazienti lasciano cadere la paura della morte, dissolvendo una finzione dietro l’altra, affrontando la realtà a testa alta e accettando tutto ciò che viene. Molti di questi assistenti sono in grado di riconoscere questo processo. Lo hanno osservato dentro di sé, durante la loro lunga ricerca meditativa.
Quindi, in senso generale, le esperienze di apprendimento “a esordio tardivo” degli ultimi istanti di vita di una persona potrebbero cominciare ad assomigliare a eventi possibili anche molto prima, con altri mezzi. In realtà, come conclude Levine, “Gli stadi di smarrimento e morte sono chiaramente paralleli agli stadi di sviluppo spirituale” (nota 23).
Una prospettiva neurologica
Non so cosa intendi quando parli di Grande Mente e Piccola Mente. Prima di tutto, c’è il cervello. Jiddu Krishnamurti
Abbiamo considerato uno spettro di fenomeni. Esso va dalle esperienze di quasi-vita a quelle sul letto di morte. Le mitologie restano di conforto, ma molti lettori potrebbero essere curiosi di conoscere le spiegazioni biologiche di tali esperienze. È importante sapere cosa accade nel cervello durante questi episodi che mettono a rischio la vita? Sì. Ha importanza, perché le nostre ipotesi avranno conseguenze che potranno aiutarci a spiegare perché simili eventi accadono anche nel cammino spirituale.
Gli stati tendono a manifestarsi in sequenze. E le loro psicofisiologie si evolvono con il tempo. Quindi, innanzitutto, per affrontare i meccanismi base dell’attuale gamma di esperienze attinenti alla morte, dobbiamo disporre i loro insiemi di fenomeni in sequenza.
Iniziamo dalla caduta del giovane Darwin. Nel suo caso, si trattò di un’improvvisa caduta di appena due metri e mezzo. Tuttavia, l’immediato risultato fu una vivace cascata di eventi fisiologici. Il primo di questi rifletteva una rapida neurotrasmissione. Questa fase implica un impulso attraverso almeno due dei sistemi ascendenti di comunicazione nel cervello. Uno rilascia acetilcolina; l’altro aminoacidi eccitatori, come il glutammato. Scatta un processo parallelo. Dalla sua matrice sorge l’idea – non del tutto sbagliata – che il tempo “interiore” del cervello sia molto più veloce.
Questo crea la sensazione che gli eventi esterni si svolgono al rallentatore e con grande chiarezza. Si può anche pensare che nuovi impulsi possano entrare dal mondo esterno, e velocemente raggiungere la formazione ippocampale. Là, molto addentro nel lobo temporale, essi possono trovare le capacità dei circuiti ippocampali già stimolate da un processo ad alta velocità, che libera spezzoni casuali di vecchi ricordi in porzioni di tempo (nota 4).
Questo cervello è stato sconvolto. Circostanze avverse improvvise e pericolose stimolano eccessivamente molte sue cellule nervose. Il cervello in allerta passa da una velocità di elaborazione più lenta all’attuale superveloce. Nel fare questo, alcune delle sue più profonde reti di funzionamento possono essere spinte temporaneamente fuori fase. E tali sistemi dissociati – scissi durante improvvise transizioni dinamiche – diventano liberi di unirsi, brevemente, in nuove configurazioni fisiologiche. Le connessioni da e per l’ipotalamo sono importanti fonti di tali trasformazioni. Altrettanto può dirsi di molti gruppi di cellule nervose più grandi disposti in basso, nel tronco cerebrale, e delle loro estensioni superiori (nota 4).
Durante i primi istanti di un’esperienza di quasi morte, in un vasto numero di sinapsi nervose si verifica un tumulto. Esso libererà rapidamente, nel cervello, ondate dei potenti trasmettitori chimici del cervello. Tra essi, le sue ammine biogene (norepinefrina, dopamina, serotonina ecc.) e diversi peptidi (gli oppioidi endogeni, simili alla morfina: CRF, ACTH ecc.) (nota 14).
Gli impulsi che corrono lungo le più profonde vie nervose della vista possono dare la sensazione di un’avvolgente luce brillante. La neuroscienza non ha bisogno di chiamare in causa, come agenti produttori dell’«amorevole luce bianca», speciali forze elettromagnetiche provenienti da una fonte non specificata fuori dal corpo (nota 15). Accadranno poi altri eventi, i quali estenderanno la loro influenza fino al midollo. Qui, per esempio, vi sono le grandi cellule nervose del nucleo paragigantocellulare, sollecitate da una vasta gamma di stimoli pericolosi (nota 4).
Adesso diventa possibile immaginare in che modo un improvviso calo della pressione sanguigna – uno shock – può provocare, come effetto secondario, ulteriori risposte allo stress dentro il cervello. Infatti, se la pressione sanguigna della persona ferita dovesse calare, verrebbero stimolate anche alcune grandi cellule nervose di questo nucleo, come parte della reazione automatica del cervello per riportare il livello della pressione su valori normali. In pochi millisecondi, gli impulsi di questo nucleo paragigantocellulare spingeranno le cellule nervose del locus coeruleus a liberare la loro norepinefrina in tutto il sistema nervoso centrale.
Questa norepinefrina contribuirà a dare il via a un’altra serie di risposte allo stress da parte del cervello (nota 4). Tali intrinseche risposte allo stress influenzano le funzioni di vari livelli, tra cui molte che si attivano attraverso la parte ipotalamica del sistema limbico. È notevole, comunque, che la paura abbandona la consapevolezza durante le ultime fasi della tipica esperienza di quasi morte. Questo vuol dire che alcune fonti tradizionali della paura primaria, come quelle vicino all’amigdala, sono state direttamente inibite o non hanno più accesso alla consapevolezza.
I nostri antenati erano dei sopravvissuti. La sopravvivenza dipendeva dalla misura in cui riuscivano ad azionare processi ad alta velocità, evolvendosi in quell’esplosione di azioni supplementari in grado di eludere circostanze avverse. Questi antichi sistemi fisiologici restano i nostri alleati. Unendo le forze con altri livelli, aggiunti in seguito, le loro reti sono ancora capaci di creare nei cervelli moderni l’impressione che il tempo si espanda, così come lo spazio, nella chiarezza di un presente senza paura. La persona in pericolo percepisce “più” secondi, più tempo per compiere quei disperati, difficili sforzi per scappare.
In seguito, quando ogni ciclo biologico della vita si avvia alla sua inevitabile conclusione, accadrà un turbine di reazioni fisiologiche terminali. Da dove vengono i risultanti scenari psichici? Essi possono attingere alle grandi capacità immaginative poste al centro della psiche umana fondamentale. Qui, tutte le persone sono commediografi, romanzieri e sognatori “ad libitum”. Dobbiamo inventare qualcosa che abbia uno scopo, dal punto di vista umano, per ogni evento naturale sulla soglia finale della morte? Le nostre interpretazioni devono consistere in simboli e idee tratte dalle religioni istituzionali, dalla filosofia, la metafisica o i mondi dello spirito soprannaturale?
È tempo di tornare a una visione più semplice dei fenomeni mistici, specialmente di quelli che rientrano nelle ultime sequenze delle esperienze di quasi morte. Abbiamo ragione di credere che la maggior parte delle forme e contenuti di queste ultime saranno colorati dalla storia personale e dai sistemi culturali di ciascun soggetto (nota 16).
Oggi, tra i giovani e gli anziani che percorrono il cammino spirituale, molti praticano vari tipi di meditazione, formali e informali. Queste persone proveranno inevitabilmente interesse alle scoperte sui molti stati alterati qui descritti. Questo tipo di esperienze accade velocemente, durante circostanze non-meditative (ma in risposta a situazioni di pericolo) in soggetti che per la maggior parte non hanno mai meditato né assunto droghe psichedeliche. E chi percorre il cammino spirituale sarà curioso di sapere, inoltre, che anche tali esperienze “mistiche” a rischio, quando arrivano, possono all’inizio generare chiarezza, rinforzare i processi e dissolvere la paura, e in seguito produrre mutamenti durevoli e salutari nella personalità umana.
Un praticante buddista ha dei motivi in più per interessarsi al significato religioso o psicodinamico delle esperienze di quasi morte (note 24, 25)? Almeno dal punto di vista pragmatico della scuola zen, la domanda chiave non è: c’è vita dopo la morte? O: esiste la vita in qualche “oltre-vita”? L’accento, invece, è: come dobbiamo vivere questa vita, dopo la nascita, in questo istante, al massimo delle sue potenzialità? Non vivere in qualche sogno a occhi aperti; non cercare qualche illusoria “realtà virtuale”: ma vivere pienamente questa vita, “on line”, fino ai suoi momenti finali.
Note e riferimenti bibliografici.
1. R. Noyes (1972): The experience of Dying. “Psychiatry” 35:174-84.
2. R. Noyes. R. Kletti (1976): Depersonalization in the Face of Life-threatening Danger: A description. “Psychiatry” 39:19-27.
3. R. Noyes, R. Kletti (1977): Panoramic Memory: A response to the therat of death. “Omega” 8:181-94.
4. Questo argomento è sviluppato in J. Austin (1998): Zen and the Brain. Toward an Understanding of Meditation and Consciousness. Cambridge, Mass., MIT Press.
5. S. Grof, J. Halifax (1978): The Human Encounter with Death. New York, Dutton, 133-134.
6. G. Gallup Jr. (1982): Adventures in Immortality. New York, McGraw-Hill.
7. G. Gabbard, S. Twemlow, F. Jones (1981): Do “Near-death Experiences” occur only near Death. “J. Nervous & Mental Disease” 169:374-7.
8. C. Garfield (1975): Consciousness Alteration and Fear of Death. “J. Transpers. Psychol.” 7:147-75.
9. C. Tart (1976): Out-of-the-Body Experiences. In: Mitchell, E. (Ed.) Psychic Exploration. A Challenge for Science (Ed., White, J.). New York, Capricorn-Putnam’s Sons. 349-73.
10. K. Ring (1984): Heading Toward Omega. New York, Morrow.
11. O. Devinsky, E. Feldman, K. Burrowes, E. Bromfield (1989): Autoscopic Phenomena with Seizures. “Arch. Neurol.” 46:1080-8.
12. K. Ring (1984): The Nature of Personal Identity in the Near-death Experience: Paul Brunton and the ancient tradition. “Anabiosis” 4:1;3-20.
13. La parola “essere” va sempre valutata con cura. Uno stato di “essere assoluto” può anche riferirsi a uno speciale, avanzato stato alterato di consapevolezza.
14. J. Owens, E. Cook, I. Stevenson (1990): Features of “Near-death Experience” in Relation to Whether or Not Patients were Near Death. “Lancet” 336:1175-7 (La maggior parte dei pazienti in questo gruppo ha sperimentato funzioni cognitive superveloci”).
15. Nella nota 4 del capitolo 86 viene ipotizzata una spiegazione alternativa per l’«amorevole luce bianca». M. Morse, P. Perry (1992): Transformed by Light, New York, Villiard.
16. G. Roberts, G. Owen (1998): The Near-death Experience, “Brit. J. Psychiat.” 153:607-17.
17. B. Greyson (1983): Near-death Experiences and Personal Values. “Am. J. Psychiat.” 140:618-20.
18. R. Noyes (1980): Attitude Changes following Near-death Exdperiences. “Psychiatry” 43:234-41.
19. S. Levine (1982): Who Dies? An Investigation of Conscious Living and Conscious Dying. New York, Doubleday, 59.
20. C. Jung (1962): Memories, Dreams, Reflections (Ed., Jaffe, A.). New York, Pantheon, 196-7. In genere, Jung non considerava sogni le sue visioni.
21. E. Rodin (1980): The Reality od Death Experiences. A Personale Perspective. “J. Nervous & Mental Disease” 168:259-63.
22. P. Kapleau (1967): The Three Pillars of Zen. Boston, Beacon Press. 269-91.
23. S. Levine (1982): ibid. 234.
24. B. Greyson (1983): The Psycodinamics of Near-death Experiences. “J. Nervous & Mental Disease” 171:376-81.
25. Il lettore interessato troverà una recente discussione sull’esperienza di quasi morte in “The Journal of Near-death Studies” 16 (Fall, 1997): 3-95, interamente dedicato alle origini biochimiche e alla fenomenologia di questi eventi.
Spaventata? Di chi dovrei essere spaventata?
Non della Morte, perché chi è la Morte?
Il facchino della casetta di mio padre
Lo ignora quanto me.
Emily Dickinson. Time and Eternity.
James H. Austin è Professore Emerito di Neurologia nella Facoltà di Medicina dell’Università del Colorado, a Denver.
A chi piace la poesia e le belle fotografie
lunedì 21 settembre 2009
Dentro di noi (dentro di me)
Dentro di noi esiste un'unica verità , ma non riusciamo a coglierla. Rimane nascosta dalle illusioni della mente
Nella nostra mente invece c'è la continua rissa di personalità che spingono per prevalere e distruggono la nostra energia.
Poi esiste un lato oscuro e profondo da cui emergono inconsciamente tutte le spazzature che abbiamo represso...
Questo bisogna accettarlo e vederlo: è il primo passo per farlo cadere.
Guardiamo anche le nostre miserie ed i nostri difetti, ma senza trovare giustificazione: guardiamoli così come sono! riusciamo ad essere noi stessi anche nella negatività? Guardiamo, lasciamo uscire e viviamo, la stessa esperienza sarà la catarsi solo se saremo consapevoli.
ESSERE NOI STESSI
Il mio testamento
Chi scriverebbe mai un testamento a 40 anni e descriverebbe il suo funerale? Io!
La morte non è la fine...è molto di più, è il culmine della vita, ma solo se la vita è stata VISSUTA.
Non vorrei mai un funerale di quelli "classici"...MAI in chiesa perchè NON sono cattolico nè cristiano anche se amo profondamente Gesù.
Niente sociètà di pompe funebri, niente assurdi fiori recisi...
Vorrei fossero presenti (se non hanno altri impegni) le persone che sono nel mio cuore e spero sia altrettanto per loro.
In quella riunione vorrei fosse allietatato il clima con una bella musica allegra, oppure rilassante, possibilmente in un posto all'aperto e immerso nella natura, colmo di quelle energie misteriose che cogliamo a volte guardando la bellezza.
Mi piacerebbe fosse l'occasione per parlare di qualcosa di bello avvenuto nel passato, conversando con piacere di fronte a qualcosa di buono da mangiare e da bere ( ovviamente vegan!)...
Poi qualcuno potrebbe parlare a tutti esprimendo i suoi sentimenti e magari leggendo qualcosa per innalzare i cuori a tutti ed avvicinarsi al divino.
Poi qualcuno potrà prendere le ceneri di quello che era il mio corpo e spargerle in un luogo bellissimo e pieno di energia in mezzo alla natura...per ricongiungersi al tutto.
Queste sono le mie volontà.
Lunedi 21 settembre 2009
Namastè.
Intervista a U.G. Krishnamurti
Testo tratto da: http://www.innernet.it/il-coraggio-di-essere-liberi-dal-passato/
U.G. Krishnamurti , iconoclasta e maestro-non-maestro anticonvenzionale, colpisce al nucleo delle credenze di chi è su un percorso di ricerca. La ricerca delle soluzioni da parte del ricercatore come barriera alla ricerca stessa e l’importanza di essere in contatto con la rabbia affinché questa “bruci se stessa esattamente là dove si origina e agisce”.
D: Qual è il tuo consiglio quando abbiamo un problema?
U.G.: Voi non potete fare altro che creare i problemi. Prima di tutto create il problema e poi non siete per nulla interessati a guardare i problemi. Non affrontate i problemi. Siete molto più interessati alle soluzioni che ai problemi. Questo vi rende difficile osservare il problema.
Io vi suggerisco “Guardate bene, voi non avete alcun problema”. Voi asserite con tutta l’enfasi che potete, e con grande animosità “Guarda, io ho un problema”.
Va bene, avete un problema. Qualcosa vi assilla e dite “Ecco questo è il problema”. I dolori fisici sono reali. In quel caso andate dal medico, lui vi dà una medicina, che può essere più o meno buona, più o meno tossica, e questa produce qualche sollievo, anche se di breve durata. Ma le terapie che questa gente vi sta fornendo intensificano solo un problema che non esiste. State solo cercando le soluzioni. Se ci fosse qualche cosa di vero in queste soluzioni che vi vengono offerte, il problema dovrebbe essersene andato, dovrebbe scomparire. In realtà, il problema è ancora presente, ma voi non mettete mai in discussione le soluzioni che questa gente vi sta offrendo come sollievo o come qualcosa che può liberarvi dai problemi.
Se voi metteste in discussione le soluzioni che vi sono offerte da quelli che vendono queste cose nel nome della santità, dell’illuminazione, della trasformazione, trovereste che in effetti non sono le soluzioni. Se lo fossero, avrebbero dovuto produrre i risultati voluti ed avrebbero dovuto liberarvi dal problema. Ma non lo fanno.
Ma voi non mettete in discussione le soluzioni perché credete che chi vi propone queste cose non possa ingannarvi, non possa essere un mascalzone. Per voi egli è un illuminato o un dio che cammina sulla superficie della terra. Magari però quel dio può illudersi, e autodistruggersi, magari indulge nel suo auto-inganno e continua a vendervi questa robaccia, questa merce scadente.
Voi non mettete in discussione le soluzioni, perché in quel caso dovreste mettere in discussione anche coloro che vi forniscono queste soluzioni. Ma voi siete convinti che non possano essere disonesti, un santo non può essere disonesto.
Eppure, dovete mettere in discussione le soluzioni perché non stanno risolvendo il problema. Perché non le mettete in discussione e non testate la loro validità? Quando vi rendete conto che non funzionano, dovete gettarle via, buttarle nella spazzatura, fuori dalla finestra. Ma non lo fate perché c’è la speranza che in qualche modo quelle soluzioni vi daranno il sollievo che cercate. Lo strumento che state usando, cioè il pensiero, è lo stesso che ha creato questo problema, quindi non accetterà mai e poi mai la possibilità che quelle soluzioni siano una fregatura. Ma esse non sono affatto la soluzione.
La speranza vi fa andare avanti. Tutto ciò vi rende difficile osservare il problema. Se una soluzione fallisce, voi andate da qualche altra parte e adottate un’altra soluzione. Se anche questa ultima fallisce, ne cercate un’altra ancora… Continuate a comprare soluzioni e neanche per un momento vi domandate: “Qual è il problema?”.
Io non vedo nessun problema. Vedo solo che voi siete interessati alle soluzioni e venite qui e ponete la stessa richiesta: “Vogliamo un’altra soluzione”. E io vi dico: “Queste soluzioni non vi hanno aiutato per nulla, quindi perché ne cercate un’altra?”. Ne aggiungereste solo un’altra alla vostra lista, per trovarvi alla fine esattamente al punto di partenza. Se vedete l’inutilità di una, le avete viste tutte. Non dovreste provarne una dopo l’altra.
Quanto sto suggerendo è che se una di quelle fosse stata la soluzione, avrebbe dovuto liberarvi dal problema. Se quella non è la soluzione, allora non c’è nulla che possiate fare; e poi il problema non esiste nemmeno. Quindi, non avete alcun interesse a risolvere il problema, perché ciò sarebbe la vostra fine. In realtà volete che il problema rimanga. Volete che la fame rimanga perché se non aveste fame non andreste a cercare questo tipo di cibo da tutti questi santoni. Quello che loro vi danno sono solo degli scarti, pezzetti di cibo, e voi siete soddisfatti. Poniamo per un istante che questi leader spirituali, questi terapisti possano darvi tutto il pane, cosa che peraltro non possono fare perché non ce l’hanno, che ve lo promettessero, ma lo tenessero qui, nascosto da qualche parte… solo promesse. Ve lo darebbero solo pezzetto dopo pezzetto. In questo modo non trattate direttamente con il problema della fame, piuttosto che farlo siete molto più interessati ad ottenere un pezzetto in più da quel tizio che vi promette le soluzioni.
Quindi, voi non state trattando il problema della vostra fame, siete molto più interessati ad ottenere altre briciole da quel tizio, piuttosto che affrontare il vostro dilemma.
D: È come andare a vedere un film per scappare dalla realtà.
U.G.: Voi non guardate mai il problema. Qual è il problema? La rabbia per esempio. Non voglio discutere tutte queste sciocchezze che sono state dibattute per secoli. La rabbia. Dov’è quella rabbia? Potete separarla dal funzionamento di questo corpo? È come un’onda nell’oceano. Potete separare le onde dall’oceano? Potete solo sedervi ad aspettare che le onde cessino, così potrete nuotare nell’oceano, come il Re Canute che sedette per anni e anni sperando che le onde sparissero in modo da poter fare un tuffo in un mare assolutamente calmo. Ma ciò non accadrà mai. Voi potete sedervi ed imparare tutto sulle onde e sulle maree, l’alta marea e la bassa marea (gli scienziati ci hanno dato tutti i tipi di spiegazioni), ma il conoscere quelle cose non vi sarà di nessun aiuto. Voi non state assolutamente trattando con la vostra rabbia.
Prima di tutto, dove sentite quella rabbia? Dove sentite tutti i vostri cosiddetti problemi da cui volete liberarvi? …I desideri, i desideri brucianti? Il desiderio vi brucia. La fame vi brucia. Ma le vostre soluzioni e i mezzi che adottate per realizzare i desideri rendono impossibile a quei desideri e a quella rabbia di consumarsi da soli.
Dove sentite la paura? La sentite lì, alla bocca dello stomaco. È parte del vostro corpo. Il corpo non può sopportare quelle ondate di energia e voi cercate di sopprimerla per ragioni spirituali o sociali. Ma non ci riuscirete.
La rabbia è energia, un tremendo scoppio di energia. E cercando di distruggere quell’energia con ogni mezzo, state distruggendo l’espressione della vita stessa. Diventa un problema solo quando cercate di intromettervi con questa energia. Se la rabbia venisse assorbita dal sistema fisiologico, non vi comportereste come pensate che fareste se la rabbia fosse lasciata libera di agire seguendo il suo corso naturale. In realtà non siete in contatto con la vostra rabbia, ma con la vostra frustrazione. Così, per evitare quella situazione che vi ha creato problemi nelle vostre relazioni o nella comprensione di voi stessi, volete essere preparati ad affrontarla se si ripresenterà in futuro.
Lo strumento che usate è quello che avete sempre usato per ogni scoppio di rabbia. Ma non vi ha ancora aiutato a liberarvene. Voi non volete usare nient’altro, neanche di straordinario, se non questo strumento, che avete usato per tutti questi anni. E sperate che in qualche modo possa un domani aiutarvi nel liberarvi dalla rabbia. È sempre la solita vecchia speranza.
D: Ma se qualcuno è molto arrabbiato può diventare violento.
U.G.: Quella violenza viene assorbita dal corpo.
D: Ma può diventare una minaccia.
U.G.: Per chi?
D: Per le altre persone.
U.G.: Sì. E quindi? Cosa può fare?
D: Può andare in giro con un coltello…
U.G.: Che altro?
D: Uccidere qualcuno.
U.G.: Sì. Ma pensa alle guerre dove si uccidono migliaia e migliaia di persone, senza che loro ne abbiano alcuna colpa. Perché limiti la condanna ad una reazione che è naturale, e non condanni le nazioni che scagliano addosso quegli ordigni tremendi a gente indifesa? Le chiami civili? Entrambe le due azioni sono sorte dalla stessa fonte. Più a lungo cercate di sopprimere la vostra rabbia qui, più voi indulgerete in queste atrocità e le giustificherete, perché sono il solo mezzo per proteggere il vostro modo di vivere e di pensare. Queste due cose vanno assieme. Perché giustifichi una cosa del genere? È folle.
Quell’uomo arrabbiato non vi sta attaccando direttamente, ma minaccia il vostro modo di vivere. Il pericolo che rappresenta quell’uomo è quello che vi porti via le cose che considerate preziose. È per questo che cercate di fermare quest’uomo dall’agire quando è in preda ad uno scoppio di rabbia. Le religioni hanno detto che un uomo arrabbiato diventa antisociale.
Ma anche se cercherà di praticare la virtù, resterà un antisociale perché le sue azioni saranno caratterizzate dalla rabbia. Quando quella meta che la società vi ha imposto, quando quello stesso obiettivo che voi avete adottato come ideale da raggiungere verrà tolto di mezzo, voi non danneggerete più nessuno, né individualmente, né a livello di nazione.
Dovete guardare in faccia la rabbia. Ma voi state trattando con cose che non hanno nessun rapporto con la rabbia, non le permettete mai di bruciare se stessa esattamente là dove si origina e agisce. Fare le vostre terapie, prendere a calci un cuscino, colpire questo, quello o quell’altro, è soltanto una presa in giro. Non libera una volta e per tutte l’uomo dalla rabbia.
Il presente articolo è tratto dal libro Il coraggio di essere liberi dal passato, di U.G. Krishnamurti, edito dalla Jubal edizioni, www.jubaleditore.net per gentile concessione.
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U.G. Krishnamurti. Il coraggio di essere liberi dal passato. Jubal, 2004. ISBN: 8888985212
lunedì 14 settembre 2009
Pillola rossa o pillola blu?
Non è più possibile fare gli struzzi ignorando i fatti.
Tutti noi a questo punto dell'evoluzione umana dovremmo fermarci un attimo e riflettere sui perchè più importanti della nostra esistenza.
Dovremmo capire profondamente chi siamo fermandoci a meditare.
Dovremmo poi avendo raggiunto una consapevolezza maggiore individuare le priorità del pianeta ed attuare DELLE SCELTE.
Prima non è possibile scegliere poichè sarebbe solo un semplice calcolo mentale, che include i meccanismi messi in atto da una mente ormai abituata a ragionare verso degli scopi precisi, che sono causa dei CONDIZIONAMENTI avuti durante la nostra vita.
E' arrivato il tempo del grande salto di qualità dell'umanità?
Una NUOVA UMANITA' , un NUOVO UOMO, più consapevole, più vicino alla verità perchè più meditativo, più creativo e meno aggressivo.
Gli scontri piccoli e grandi spariranno di conseguenza e ci si dovrà accordare su un'organizzazione super internazionale con un unico intento: il vero progresso dell'umanità.
E' tempo per tutti di scegliere tra la pillola rossa o la pillola blu:
volete una vita finta nel teatrino di tutti igiorni dove ci si scanna per un po' di potere?
Oppure prendere la pillola blu ....
Auguri
PS: per vedere il video cliccare sul titolo del post
sabato 12 settembre 2009
giovedì 10 settembre 2009
La verità è difficile?
La verità ci sfiora ogni giorno come il vento ma non ci accorgiamo di lei.
Parliamo e ragioniamo ma la continuiamo a sfiorare.
Quando non siamo amorevoli verso la vita ci allontaniamo dal flusso dell'esistenza e sprofondiamo nel teatrino delle nostre illusioni: l'iilusione del controllo, l'illusione dei desideri...
E' una grande pena per me riconoscere spesso la falsità nella voce e negli occhi delle persone con cui interagisco, una grande e continua delusione che mi toglie l'energia.
E' preferibile allora restare in solitudine con se stessi, con i propri difetti e i pochi pregi , ma almeno veri.
Ogni tanto allora mi tuffo dentro il mio cuore e ne riesco pieno di gioia e rilassato, pronto a celebrare la bellezza dell'esistenza ballando sotto la luna.
Venite anche voi?
giovedì 3 settembre 2009
Good news...ogni tanto belle notizie..
Ciao a tutti
Riporto quanto scritto sul sito di GREENPEACE:
Ricordate la nostra inchiesta “Amazzonia, che macello!”? Meno di quattro mesi fa chiedevamo a Timberland, Adidas, Clarks, Geox e Nike di interrompere immediatamente i rapporti commerciali con aziende o allevamenti legati alla distruzione dell’Amazzonia.
Abbiamo vinto! Tutte e cinque le multinazionali hanno deciso di passare dalla parte delle foreste. Tra i giganti del mercato della carne e della pelle brasiliani hanno già aderito al nostro appello Bertin e Marfrig. Inoltre, i commercianti brasiliani di soia hanno rinnovato per un anno ancora la moratoria sull’acquisto di soia da aree recentemente deforestate in Amazzonia.
Ora con la nostra campagna “Deforestazione zero” continueremo a fare pressione sull’intero settore della carne e della pelle affinché tutti si assumano la responsabilità degli effetti che le proprie politiche di acquisto producono. Solo così avremo fatto - insieme - qualcosa di concreto per salvare l’Amazzonia e combattere il cambiamento climatico.
http://www.greenpeace.org/italy/deforestazione-zero/
venerdì 28 agosto 2009
La radura del castagnone
Spicchi di luce intersecano i rami
creando il divino aleggiare
delle mie palpebre indecise
fra il verde rassicurante
ed il buio abisso dentro.
Odori puri e leggeri
e suoni di piccoli uccelli volano
mentre la calda aria estiva
accarezza le mie gote stanche.
Come vorrei volare ora anch'io !
Almeno sopra questo mio castagno
che di fianco mi saluta garrendo.
Come vorrei essere ora la pioggia
che disseta il mio viaggiatore...
Invece il clacson
di una corriera di montagna
mi scuote e mi riporta quieora.
Come vorreii essere la mia risata!
Festival della Meditazione a Varazze 4-5-6 settembre
Segnalo a tutti, interessati e non un interessante evento che si terrà a breve nello splendido paesino di Varazze.
Sono rare queste manifestazioni in cui si concentrano tante persone interessate allo sviluppo spirituale dell'uomo, tramite la meditazione.
Credo non bisogni perdere un'occasione del genere.
Io pultroppo parteciperò solo venerdi 4 settembre.
Per chi vuole unirsi o sapere info basta cliccare sul titolo del post oppure su questo link:
http://www.thefestival.it/
Namastè.
sabato 1 agosto 2009
Il significato della parola "Namastè"
Dalle nostre parti il saluto è diventato raro, soprattutto quello sincero dal cuore e non il rituale "per educazione".
Noi spesso abusiamo di strette di mano in cui la mano sembra essere morta e non viva e vibrante di energia positiva, di baci e abbracci dati per educazione, per forza e quindi senza un vero trasporto.
Sembra più saggio il saluto orientale che tende a rimanere lontano dal corpo altrui ma vicino allo spirito, tramite una condivisione della stessa esistenza, del divino che ci circonda e di cui facciamo parte.
La parola che si dice è "Namastè", ecco il suo significato:
Namastè è una parola sanscrita il cui significato letterale è "mi inchino a te": infatti è formata da namas, ossia "salutare, inchinarsi facendo una reverenza" e dalla parola ti, ossia "a te"! Ma a parte il significato puramente letterale, il saluto Namastè è legato ad un significato spirituale che molti traducono con: *il divino che è in me saluta il divino che è in te*. Io lo leggo proprio in questo modo e mi piace, se posso, unirvi anche il classico gesto delle mani giunte dinnanzi al cuore (che sarebbe, poi, un mudra), mentre inchino il capo verso la persona a cui lo dirigo!
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In our part of the greeting has become rare , especially the sincere from the heart and not the ritual " for education."
We often abuse it handshakes where the hand appears to be dead and not alive and vibrant positive energy , kisses and hugs data for education , for strength , and then without a true transportation.
It seems wiser to the eastern greeting that tends to stay away from the body but others close to the spirit , through a sharing of the very existence of the divine that surrounds us and of which we are part .
The word that is said is " Namaste " , its meaning here :
Namaste is a Sanskrit word which literally means " I bow to you " : it is formed by namas , meaning " healthy , making a bow reverently " and the word you , that is " you" ! But apart from the purely literal meaning , the greeting Namaste is tied to a spiritual significance which many translate as : * the divine in me greets the divine in you * . I read it in just this way and I like , if I may , add also the classic gesture of hands clasped in front of the heart (which would be , then , a mudra) , and bowed his head toward the person to whom I direct him !
Il perchè ed il come di una scelta
Molti mi chiedono incuriositi perchè non mangio più carne.
Non è facile esprimere certi concetti con chi ti risponde che tanto ormai gli animali sono stati uccisi e quindi è immorale sprecare una risorsa...
Non voglio spingermi a spiegazioni etiche ne salutistiche ma pubblico un famoso discorso del mistico Osho a riguardo perchè calza a pennello con quello che penso:
I miei discepoli sono vegetariani non perchè seguaci di una setta, non perchè fedeli ad una dottina. Sono vegetariani perchè la meditazione li rende più umani, più vicini al cuore e in grado di vedere la totale stupidità di coloro che uccidono esseri viventi per cibarsene.
E' la loro sensibilità, la loro consapevolezza estetica che li rende vegetariani. Io non insegno il vegetarianismo: è una conseguenza della meditazione. Ovunque sia accaduta la meditazione le persone sono diventate vegetariane; sempre da migliaia di anni.
Non puoi uccidere gli animali per mangiarli, non puoi distruggere la vita. Quando hai a disposizione cibi deliziosi di ogni tipo, che bisogno hai di uccidere esseri viventi? Non c'entra niente con la religione. Si tratta semplicemente di sensibilità, di comprensione estetica.
Nessun animale, nessun albero, niente dell'esistenza è incapace di diventare illuminato. Magari ci vuole un po' più di tempo, ma l'illuminazione è inevitabile. E' il destino dell'intera esistenza. E' brutto uccidere per mangiare. L'idea di non uccidere è scaturita dall'esperienza che tutti, per diritto di nascita, sono capaci di diventare divini.
Osho
giovedì 23 luglio 2009
Allevamenti intensivi: possibili conseguenze
Al telegiornale si continua a parlare del caldo e dei condizionatori, delle cazzate di Testa d'asfalto e le risposte dell'inesistente opposizione...
Solo su internet qualcuno comincia a parlare dei grossi problemi globali relativi allo sfruttamento intensivo delle risorse planetarie ed al loro vicino collasso...
Ma non è allarmismo: è come se non dicessi nulla a chi guida la mia auto e stà andando contro un palo!
Da una ricerca statunitense: Le conseguenze globali della zootecnia intensiva
17-07-2009 - Fonte: Enrico Moriconi
Una corposa ricerca intitolata Carne in tavola: l’industria dell’allevamento in America, Progetto the Pew Charitable Trusts and Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health” dimostra chiaramente che le preoccupazioni per gli allevamenti intensivi come fonte di contagio di malattie per le persone sono fondate.
L’argomento è ritornato di prepotente attualità dopo la diffusione dell’influenza suina e lo studio conferma con autorevolezza il ruolo degli allevamenti intensivi nella creazione di nuovi agenti infettanti e nella loro diffusione sia negli animali sia tra le persone. Rilevante è il fatto che molte delle conclusioni a cui arriva il lavoro sono oggetto da anni di denuncia da parte dei movimenti ambientalisti e animalisti.
Lo studio citato esamina il problema delle malattie infettive e degli allevamenti sotto diversi punti di vista.
Innanzi tutto richiama l’attenzione sul fatto che è esposto alla contaminazione degli agenti infettanti, in modo più frequente e a concentrazioni più alte, chi è direttamente coinvolto nella produzione e che il rischio diminuisce proporzionalmente al contatto, cioè per quanto più o meno tempo si rimane dentro o in prossimità dell’allevamento.
All’esterno la diffusione avviene tramite la contaminazione delle acque reflue e si può estendere alle acque potabili, propagandosi anche a grande distanza dalla sorgente iniziale, come ha mostrato anche la recente trasmissione Report. Se poi gli agenti patogeni sono infettivi per le persone, come nel caso dell’influenza aviare, possono diffondersi nella comunità e persistere durante i processi di lavorazione della carne e contaminare i consumatori di prodotti animali…
La ricerca ammette che gli agenti infettanti si possono più facilmente trasmettere dagli allevamenti intensivi alle persone perché il rischio di ammalarsi per gli animali è più alto che altrove, legato alla quantità di animali stabulati insieme in spazi ristretti e alle caratteristiche degli allevamenti dove il cibo e il trattamento sono finalizzati alla crescita rapida, insieme di condizioni che creano le opportunità per i patogeni di trasmissione agli umani.
In particolare, viene detto che tre fattori concorrono ad aumentare il rischio: il prolungato contatto dei lavoratori con gli animali, l’aumentata trasmissibilità dei patogeni nei gruppi di animali e l’accresciuta possibilità di una antibiotico-resistenza ai batteri e ai nuovi agenti infettivi. Anche lo stress indotto dal costrizione in spazi ridotti aumenta la possibilità di infezione e malattia nella popolazione animale.
Anche i sempre più frequenti episodi di nuove forme virali sono messi in relazione con gli allevamenti intensivi. La concentrazione degli animali negli allevamenti intensivi rende possibile la creazione di molte vie di trasmissione degli agenti infettivi negli animali; gli agenti infettanti così possono evolvere diventando più virulenti, anche perché nella popolazione infetta si realizzano numerosi eventi di trasmissione e di co-infezioni, cioè trasmissione tra soggetti diversi oppure virulentazione di agenti infettanti che si mescolano tra di loro. L’allevamento industriale facilita quindi la nascita di nuovi agenti infettivi proprio per il fatto che vi sono molti animali rinchiusi insieme.
Anche la presenza di animali con forme asintomatiche può diffondere l’infezione prima che si possano individuare.
Lo studio denuncia che numerose infezioni note possono essere trasmesse tra umani e animali; in effetti su più di 1.400 patogeni umani documentati, circa il 64% sono zoonosici (Woolhouse e Gowtage-Sequeria, 2005; Woolhouse et al.,2001) . Degno di nota il fatto che tali agenti zoonosici sono in relazione proprio con gli allevamenti intensivi e non con la convivenza domestica degli animali compagni o con la prossimità dei sinantropi (come i colombi, eccetera).
Per quanto riguarda il problema del consumo di sostanze alimentari animali si dice che i sistemi di allevamento degli allevamenti intensivi possono aumentare significativamente la forme patogene per i consumatori di prodotti animali. Secondo lo studio ne sarebbe interessata l’intera catena produttiva. Infatti ogni area, passaggio, della filiera della produzione di carne bovina, pollame, uova e latticini (pratiche manuali, lavorazioni della carne, trasporto e allevamento) può contribuire alle sindromi zoonosiche e alla contaminazione (Gilchrist et al.,2007).
La ricerca indica due esempi significativi sottolineando come “il recente richiamo serio e di alto profilo riguardante Escherichia Coli O157:H7 e Salmonella enterica serve a ricordare drammaticamente questo rischio” (di trasmissione dagli animali alle persone). Si citano così dei dati: nel 1999 un rapporto stimava che l’infezione da E. Coli O157:H7 causava approssimativamente 73.000 forme patologiche all’anno con più di 2000 ospedalizzazioni e 60 morti negli Usa (Mead et al., 1999), con costi stimati in 405 milioni di dollari, 370 per i morti, 30 per la cure mediche, e 55 milioni per il calo di produttività (Frenzen et al., 2005). Si ammette che il concime animale, specialmente dei bovini, possa essere la fonte primaria di questa batteremia, e il consumo di cibo e acqua contaminata dalle deiezioni animali è la maggiore via di infezione umana.
Nell’eziologia della malattia si deve considerare che negli allevamenti intensivi molti animali possono essere debolmente colpiti e passare inosservati e quindi diffondere l’infezione senza che si prendano iniziative di controllo.
Altri complicazioni sono relative al fatto che, in molti casi, è veramente difficile diagnosticare il patogeno: Salmonella enterica ad esempio è nota per colonizzare il tratto intestinale degli uccelli, senza causare sindromi visibili (Suzuki, 1994), oppure, come noto, può infettare le ovaie e trasferire il microrganismo nelle uova. Anche se la frequenza della contaminazione nelle uova è bassa , circa 1 ogni 20.000 uova, il grande numero di uova prodotte - 65 miliardi negli Usa ogni anno – fa sì che la contaminazione da uova rappresenti una fonte significativa di esposizione umana.
Relativamente a questo punto, il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) stima che la decontaminazione da SE nelle uova diminuirebbe di circa 180.000 casi di malattia negli Usa (Schroeder et al., 2005).
Un ulteriore elemento negativo degli allevamenti intensivi è l’alimentazione ottimizzata per ridurre il tempo necessario alla crescita per la vendita, aumentare l’efficienza della conversione del cibo e delle proteine, assicurare la sopravvivenza e l’uniformità degli animali. Questo determina l’introduzione nella dieta di molte sostanze chimiche che possono favorire la diffusione di forme patogene perché deprimono le difese immunitarie. Si possono anche utilizzare sostanze direttamente pericolose per la salute umana come derivati e composti arsenicati, utilizzati per aumentare l’appetito degli animali.
Infine si punta il dito contro l’uso indiscriminato degli antibiotici, come integratori per indurre una più rapida crescita, che favorisce l’antibiotico resistenza, cioè la non reazione alla somministrazione dei chemioterapici come cura in caso di forme patologiche.
La Infection Disease Society of America (ISDA) ha dichiarato che le infezioni antibiotico resistenti sono una epidemia negli Usa (Spelberg et al., 2008) mentre la CDC (Centers for Disease Control and Prevention) stima che circa 2 milioni di persone all’anno contraggono infezioni antibiotico resistenti e di queste 90.000 muoiono. Per tali eventi i costi stimati, dieci anni fa, ammontavano tra i 4 e i 5 miliardi di dollari, ma oggi sono certamente più alti visto l’aumentare della sindrome (Harrison et al., 1998).
Le conclusioni del lavoro non lasciano molti dubbi: infatti si afferma che le preoccupazioni relative alle questioni esaminate, resistenza antimicrobica, trasferimento di sindromi dagli animali all’uomo, impatto sulla salute dei lavoratori e delle comunità, sono problematiche degli allevamenti o dell’agricoltura e riguardano anche l’economia industriale che causa significative sconvolgimenti ecologici, i quali sono una della maggiori cause di malattie.
Con un atteggiamento molto calvinista, si dice che microbi sono sempre esistiti e sempre esisteranno ma stanno diventando sempre più veloci ad adattarsi; in questo senso la dimensione e la concentrazione degli allevamenti industriali facilita il ruolo di attacco degli agenti patogeni nei confronti della popolazione umana.
Per tutti questi motivi la Commissione indica al Governo federale e agli industriali di agricoltura e allevamento queste cause di preoccupazione per la salute pubblica, per una politica di riduzione dei rischi che dovrebbe interessare tutti i governi.
Queste conclusioni sono in linea con quanto da tempo affermato dai movimenti ambientalisti e animalisti di tutto il mondo. Purtroppo pochi ci ascoltano, specialmente in Italia, dove la puntata della trasmissione Report citata a inizio articolo, ha dimostrato la totale noncuranza delle prescrizioni di legge da parte degli allevatori, dei produttori e somministratori di farmaci – vale a dire i veterinari pubblici e privati – e naturalmente dei politici che coprono loro le spalle, come ho già detto in un altro articolo.
Enrico Moriconi
www.unaltralimentazione.org
mercoledì 15 luglio 2009
Sri Chinmoy
Aspiriamo all’armonia,
nella vita interiore ed esteriore.
Dò profondo valore all'unità
di tutti gli esseri umani.
A scuola ci hanno insegnato ed abbiamo letto sui libri di testo delle gesta di uomini che muovevano eserciti e conquistavano altre nazioni, spinti dalla brama di potere e nel tentativo di avere un controllo totale sulla vita degli altri.
Qualcuno invece, di cui non parla nessuno, ha dedicato la sua vita a capire cosa veramente noi siamo: guardando dentro se stesso .
Qualcuno ha dedicato il esto della vita a elargire come un profumo da un fiore la conoscenza acquisita dalle proprie esperienze: per cercare di "risvegliare" altri uomini.
Questa è la vera rivoluzione e non guerre o scrivere libri di economia globale...
Cambiare l'uomo per cambiare il mondo.
Uno di questi uomini fantastici è Sri Chinmoy.
Grazie Sri: rimani con noi e guida il nostro spirito verso l'illuminazione.
sito:
http://www.srichinmoy.org/italiano/
sabato 11 luglio 2009
Una scelta importante...
Pubblico una lettera importante perchè spiega molte cose...
A voi ora la scelta
Lettera aperta ai vegetariani
di Marina Berati (marzo 2002)
Questa lettera è indirizzata a chi è vegetariano per motivi etici, ma non ancora vegano. Cosa voglio trasmettervi, in queste pagine? Voglio convincervi a diventare vegani, ve lo dico subito. Voglio spiegarvi perché lo sono diventata io, nella speranza che gli stessi meccanismi di pensiero e di empatia funzionino anche in voi. Forse pensate che sarebbe più utile convincere i carnivori a diventare vegetariani, piuttosto. Ovviamente va fatto anche questo, e le facciamo ogni giorno con tante iniziative, ma qui, in questa lettera, voglio comunicare con voi, voi vegetariani, che già sentite, come me, orrore e rabbia al solo pensiero che un animale possa essere ucciso, angoscia e furore per gli allevamenti, i pescherecci, i macelli. Così possiamo ragionare su basi comuni. E questo è un compito altrettanto importante, perché si tratta, anche in questo caso, di salvare delle vite.
Io sono stata vegetariana per nove anni. Non vi spiego i motivi, perché sono gli stessi vostri. Credevo che non sarei mai diventata vegana. Non è necessario, pensavo. Quello che voglio è non uccidere. E consumando latte e uova non si uccide nessuno. E' vero che c'è dello sfruttamento dietro gli allevamenti di galline ovaiole e mucche da latte. Ma il problema, allora, è cambiare i metodi di allevamento, di trattamento degli animali. Non è la produzione in sé di latte e uova, il problema. E' il metodo. Quindi, in linea di principio, mangiare questi alimenti non è sbagliato. Perché, comunque, non uccide. Devo dire che forse, anche fosse vero che il consumo di latte e uova non uccide gli animali, questo ragionamento non sarebbe stato molto valido, perché occorre comunque dissociarsi e non contribuire allo sfruttamento, quando esiste. Ma questo è quel che pensavo, e ne ero convinta. Forse anche molti di voi ne sono convinti, e, per essere più in linea coi propri principi, consumano solo uova di galline allevate a terra, o di piccole fattorie, e latte di allevamenti non intensivi.
Purtroppo, purtroppo per gli animali, intendo, questo non basta, perché c'è un problema in più: non è "solo" una questione di sfruttamento. Ma di uccisione. Perché anche il consumo di latte e uova implica, necessariamente, l'uccisione di animali. Non gli stessi individui che producono questi "alimenti" (o almeno, non subito), ma loro simili, i loro figli, che devono morire affinché questa produzione sia possibile. E' matematicamente, statisticamente, economicamente impossibile produrre latte e uova senza uccidere un altissimo numero di animali. Vi spiegherò ora perché. Per cui, alla fine, se avete scelto di essere vegetariani per non uccidere dovete, per lo stesso motivo, diventare vegani. Il motivo è identico, quindi è una decisione facile da prendere, perché ci siete già passati una volta. Siete già convinti della sua validità.
Mi concentro sul fatto dell'uccisione proprio per questo: si trattasse solo di sfruttamento, uno potrebbe sempre scegliere di usare prodotti di allevamenti non intensivi (il che significherebbe comunque, se si è coerenti, limitare molto il proprio consumo, renderlo minimale, perché gli allevamenti non intensivi non possono certo fornire prodotti a tutta la popolazione della Terra, nella quantità oggi considerata abituale). Ma si tratta invece di morte. E, come vegetariani per motivi etici, siete di sicuro già convinti che non sia lecito UCCIDERE gli animali. Perciò, punto su questo.
Perché produrre uova significa uccidere animali? Sentiamolo prima dalle parole di un allevatore di galline ovaiole. Vediamo qual è la realtà. I fatti, solo i fatti. E vediamo di tradurre questo esempio in una regola generale.
MUCCA PAZZA: SOS SMALTIMENTO IN DISCARICA PER PULCINI MORTI (ANSA) - ASTI, 3 FEB 2001 - Preoccupazione per lo smaltimento in discarica di quintali di pulcini morti, prima destinati alle industrie produttrici di farine animali, è espresso dagli allevatori dell'astigiano. L' SOS viene, in particolare, dall'azienda "Valversa" di Cocconato dove c'è il più grande impianto italiano di incubatrici per pulcini. "Ogni settimana - spiega Valerio Costa, uno dei fratelli titolari dell'azienda - dalle nostre incubatrici nascono 260.000 pulcini. Circa metà sono femmine e vivono per diventare galline ovaiole, l'altra metà maschi e vengono uccisi". Ogni settimana, dunque, tra pulcini morti e gusci d'uova, circa 300 quintali di scarti riempiono almeno 2 autocarri che, fino a quindici giorni fa, erano destinati alle fabbriche per le farine animali a un costo di 30 lire al chilogrammo. Adesso il sindaco di Cocconato, Carlo Scagno, dopo aver sentito tutte le autorità sanitarie regionali, ha emesso un'ordinanza che consente lo smaltimento nella discarica torinese di Basse di Stura per una spesa di circa 1.000 lire al chilo. "Non sappiamo - ha aggiunto il sindaco - fino a quando la discarica torinese potrà accogliere questi rifiuti speciali". D'altra parte "nell'azienda - afferma Costa - si lavora a pieno regime. Bloccare le incubatrici che ogni 21 giorni fanno nascere oltre un milione di pulcini e bloccare l'allevamento di oltre 50 mila galline che producono uova per le incubatrici, sarebbe un disastro". (ANSA).
Che cosa si ricava da questo, in sostanza? Che, mediamente, al fine di far nascere una gallina ovaiola, un pulcino maschio viene ucciso. Nella maggior parte dei casi viene ucciso subito, tritato, soffocato, gasato. Questo è il caso più "fortunato" per lui. In alcuni altri casi, vive qualche settimana per poi essere macellato come pollo. E questo vale ovviamente anche per le galline dei piccoli pollai a conduzione familiare o amatoriale. Anche per quelle galline che non finiranno mai macellate (come invece finiscono macellate quelle ovaiole degli allevamenti intensivi, in gabbia o a terra che siano, a fine carriera). Se in un pollaio ci sono anche solo cinque galline, da qualche parte saranno nate, no? Non ci sono di certo anche cinque galli, lo dice pure il proverbio... Al più, un gallo. E gli altri quattro, che statisticamente devono essere nati per poter aver le cinque galline femmine? Uccisi. Da qualunque posto venissero le galline. Questa è solo logica, e statistica.
Veniamo al latte. Perché la sua produzione comporta l'uccisione di animali (a parte le mucche da latte stesse, a fine carriera)?
Un esempio, dal mondo reale della produzione della mozzarella di bufala, una testimonianza di prima mano (apparsa in una mailing list a diffusione pubblica):
12 marzo 2002 - Il 12 di febbraio ultimo scorso, tornando a casa, ho intravisto una grande macchia scura sul bordo della strada. Avvicinandomi, ho visto che "la cosa"... era un bufalotto di alcuni giorni, ancora vivo. Devo dire che diverse volte negli anni mi è capitato di vedere carogne di bufalotti nei campi e lungo le strade, e ho sempre pensato che fossero morti di malattie perinatali. Ho segnalato il fatto all'autorità competente che è intervenuta per rimuovere la carcassa. Ma questa volta non si trattava di un cadavere, era un animale vivo. Un bufalotto maschio, senza marca nell'orecchio, senza padrone. L'ho caricato in macchina e l'ho portato a casa. Ho chiamato subito il Servizio Veterinario il cui responsabile ha detto che posso tenerlo per farlo crescere, perché probabilmente è stato abbandonato essendo un maschio. Allora i maschi vengono abbandonati? Si, mi è stato risposto, è l'abitudine in zona. Per legalizzarlo sono andata ai Carabinieri per fare la denuncia di "ritrovo". Anche il Comandante "sapeva": i maschi si uccidono, si lasciano lungo le strade, è "normale", non servono, non danno latte. Si parlava di soffocarli buttando la paglia in gola... Con il Servizio Veterinario abbiamo fatto i calcoli: circa 15.000 bufalotti maschi all'anno "non nascono" ufficialmente. Ma devono essere nati, perché la natura procura l'equilibrio: nascono tanti maschi come femmine. E se sono iscritti 40.000 bufali femmina devono essere minimo 15.000 i maschi che "spariscono". Ho sentito di altri "metodi" di uccisione: la maggior parte degli allevatori semplicemente lascia morire di fame i neonati, cioè li allontanano dalla mamma subito dopo il parto e non danno più attenzione. Muoiono! Basta! Ci sono quelli che li sotterrano vivi e ci sono quelli che li buttano nella fossa del letame. Qualche allevatore locale cresce i bufali maschi per la carne. Una percentuale molto bassa. Per il resto, per continuare a produrre mozzarella di bufala si dovrebbe organizzare una raccolta dei piccoli appena nati per portarli ai macelli.
Al di là dell'esempio specifico, per far produrre latte alla mucca occorre farle partorire un vitellino. Uno ogni anno, o ogni due, in ogni caso, se il vitellino è maschio non potrà vivere come "mucca da latte", perciò vivrà qualche mese e poi verrà macellato. I bufaletti fanno la stessa fine dei pulcini, ammazzati, o lasciati morire, appena nati. I vitellini invece vengono abitualmente mangiati, perciò vivono qualche mese per mettere su carne.
In conclusione, non è pensabile che possano essere mantenuti "a sbafo" animali improduttivi (i maschi). Anche nei piccoli allevamenti. Significherebbe raddoppiare i costi. E se mai gli allevatori e i consumatori diventassero così (e comunque ADESSO non lo sono e quindi ADESSO latte e uova implicano morte) tanto sensibili al benessere degli animali da consentire agli animali maschi di vivere... credete davvero che non sarebbe più probabile che si arrivasse invece a una semplice rinuncia a quella piccolissima quantità di prodotti animali che allevamenti di questo genere consentirebbero di ottenere?
Mi sembra così dimostrata, in termini logici, e in termini empatici (con i due esempi sopra riportati, che non possono non far inorridire un vegetariano), la necessità di diventare vegani. Il perché queste ragioni non siano immediatamente visibili non lo so, io stessa ci ho messo nove anni a rendermene conto. E ora sono vegana da cinque anni. Una volta scoperti i motivi, quale può essere la remora a diventare vegani? Solo qualche problema pratico in più. Maggiore difficoltà nel mangiare fuori casa. Minore scelta di cibi, e quindi qualche dubbio sul "ma cosa posso mangiare???" Perplessità sull'aspetto salutistico no, perché è noto che latte e uova di certo non fanno bene, anzi. Piuttosto, il non voler rinunciare alla mozzarella così buona o all'omelette alle verdure. Però... ci siamo già passati una volta, nella transizione da carnivori a vegetariani. E ce l'abbiamo fatta. Possiamo farcela anche questa volta. Dopotutto, questi sono gli stessi motivi che adducono i carnivori nel non voler diventare vegetariani. E noi, da vegetariani, non li accettiamo, vero?
Attenzione: è vero che facciamo già molto come vegetariani, e non possiamo essere perfetti, che non ridurremo mai a zero il nostro impatto negativo sul mondo e sugli animali, però... queste non possono essere delle ragioni per non fare il più possibile il prima possibile. Una volta che ci rendiamo conto del perché sia giusto e necessario.
Datevi tempo. Ma iniziate a pensarci. Grazie.
martedì 30 giugno 2009
Greenpeace: le aziende che stanno distruggendo l'amazzonia
E' costata tre anni di lavoro, di indagini e ricerche, ma ora Greenpeace fa i nomi, uno per uno.
E ce n'è per tutti: Gucci, Adidas, Reebok, Geox, Clarks, Nike, Timberland, Divani&Divani, IKEA, Simmenthal, Cremonini, Carrefour, Eurostar, Honda, Kraft, Tesco e Wal-Mart. In un modo o nell'altro sono tutti legati all'espansione dell'allevamento bovino ai danni della foresta amazzonica.
Il rapporto di Greenpeace Slaughtering the Amazon (macellare l'Amazzonia) segue il traffico di carne, pellami e tutti gli altri prodotti derivati. Dagli allevamenti nel cuore dell'Amazzonia, dove il lavoro schiavile è la regola, e l'invasione delle terre indigene la prassi, i bovini vengono convogliati nelle macellerie controllate da tre grandi aziende a partecipazione statale: Bertin, JBS e Marfrig. Dai loro impianti nel sud del Brasile escono carni e pellami distribuiti tra i marchi più prestigiosi: dalle scarpe all'alta moda, dai divani alle automobili, dai supermercati agli autogrill, e tutti insieme distruggono l'Amazzonia.
Le indagini di Greenpeace però vanno oltre, e mostrano il coinvolgimento del governo di Lula nell'espansione dell'allevamento in Amazzonia. Infatti il governo controlla o sovvenziona i tre super-macellai del Brasile, Bertin, JBS e Marfrig. Peggio: le strategie governative puntano a un raddoppio dell'allevamento brasiliano entro il 2018. Questa politica è in aperto contrasto con l'obiettivo di tagliare del 72 per cento la deforestazione amazzonica, per la stessa data. Intanto il Brasile è diventato il quarto paese per emissioni di gas serra, proprio a causa della deforestazione.
Una versione breve in italiano è di sponibile sul sito italiano di Greenpeace:
Amazzonia che macello
"Sovvenzionando la distruzione dell'Amazzonia per fare spazio ai pascoli, il governo del Presidente Lula vanifica i propri impegni sul clima - è il commento di Andre Muggiati, di Greenpeace - Lula deve uscire dal business delle macellerie e impegnarsi a fermare la deforestazione in Amazzonia, o la catastrofe ambientale sarà inevitabile."
Greenpeace si batte affinché al vertice di Copenhagen i governi adottino misure adeguate a fermare la catastrofe climatica, e a investire 140 miliardi di dollari l'anno nella protezione del pianeta dalla più grave minaccia mai affrontata. La deforestazione è da sola responsabile di circa il 20 per cento delle emissioni di gas serra su scala planetaria.
http://www.salvaleforeste.it
NEW : http://www.inindia.it/index.htm
http://www.apnu.net/
http://it.youtube.com/user/neoumanesimo
http://www.prout.it/
"La modernità ha fallito. Bisogna costruire un nuovo umanesimo, altrimenti il pianeta non si salva."
— Albert Einstein
giovedì 11 giugno 2009
Torniamo alle radici
"Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento,
il cui respiro dà vita a tutte le cose.
Ascoltami; io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza,
lasciami camminare nella bellezza,
e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.
Fa che le mie mani rispettino la natura
in ogni sua forma e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce.
Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo.
Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a
tutti quelli che verranno contro di me.
Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.
Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per
poter aiutare gli altri.
Aiutami a trovare la compassione senza la opprimente contemplazione di me stesso.
Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,
ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso. Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto.
Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,
il mio spirito possa venire a te senza vergogna".
Preghiera per il Grande Spirito
Tatanka Mani (Bisonte che Cammina)
(1871 - 1967)
VI SEGNALO QUESTA BELLISSIMA MANIFESTAZIONE SABATO E DOMENICA 4 E 5 LUGLIO:
FESTA DELLA MADRE TERRA
CASA DEL ROMANO - 4 e 5 luglio 2009
Sabato 4 luglio 2009
10,00 Apertura campo e stand
10,30 Costruzione Teepee e incontro con i Nativi: Gilbert Douville (Lakota Sicangu - Sioux
Brulé) - Ted Warren Marshall White Bull (Lakota Hunkpapa) - Kendall Old Elk (Absaroka
- Crow) - Kevin Dust (Absaroka - Crow) - Julie Ray (Ojibway) - Lisa Marie Lavallée
(Ojibway-Anishinabe)
13,00 Pausa pranzo
15,00 "Ita zipa wahin kpe kagapi" - Incontro con Gilbert Douville e il ricercatore Ivano Ciravega
(costruzione arco e frecce dei Nativi Americani)
17,00 Esibizione del gruppo Buffalo Spirits
19,00 Gilbert Douville: preghiera dellaMadre Terra
20,00 Pausa cena
21,30 “Cinque secoli di inganni e falsità” - racconto storico a cura della compagnia Genova
Spettacoli con Elisabetta Garbarino, Giunio Lavizzari Cuneo, Maria Luisa Pili, commento
musicale a cura del gruppo Buffalo Spirits
23,00 Attorno al fuoco coi Nativi Americani
Domenica 5 luglio 2009
10,30 "La Poiana e i Narcisi: Flora, Fauna e Tradizioni sull'Antola” - Incontro per i bambini
di tutte le età con Eraldo Minetti (commissario Polizia Provinciale - Genova) e Gilbert
Douville
11,00 Laboratorio coi Nativi
13,00 Pausa pranzo
15,00 Conferenza di Ted Warren Marshall White Bull: Vivere a Standing Rock - “In Indian
Country”. Introduce Andrea Benso. Commento di Naila Clerici (Soconas Incomindios)
16,30 Presentazione dei libri: Un ligure contro Toro Seduto, di Umberto Torretta e Saai
Maso - Racconti Yaqui di Fernando Eros Caro, a cura di U. Torretta e Patrizia Ribelli
17,00 Spettacolo danze tradizionali Nativo- Americane con il gruppo Buffalo Spirits
17,30 Danza dei Cerchi tradizionale di Kevin Dust
18,30 Conclusione con la "Danza Rotonda" ed estrazione sottoscrizione a premi
Ingresso a offerta libera
Traduzione a cura di Camilla Novelli
Stand artigianato Nativi Americani - Libreria tematica
ATTENZIONE!
Per chi volesse pranzare e cenare nelle
giornate di sabato e domenica presso il Ristorante
Rifugio Casa del Romano,
è gradita la prenotazione
al numero 010 95946
Possibilità di campeggiare liberamente
nel prato sottostante l’area della
Festa della Madre Terra.
Altri alberghi nelle vicinanze:
Torriglia (GE)
Hotel Posta 010 944050
Cabella Ligure (AL)
Fraz. Cornareto 0143 919509
Cabella Ligure (AL)
Hotel alla Posta 0143 99012
Fontanigorda (GE)
Hotel Due Ponti 010 95812
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